LEGGENDA DEL RE INFELICE
Autore: Fabrizio De Andrè - Voce Fabrizio De Andrè
"Cantico dei drogati, altro non è se non la presa di coscienza della propria autodistruzione totale. La voce racconta e la musica la segue e ne sottolinea gli umori. Racconta di una vita in fuga verso orizzonti in un viaggio fasullo e suicida. Racconta della nostalgia di cose semplici, come il vento che sussurra tra le foglie. Racconta di incubi irreali, ma più veri della realtà, che perseguitano e che spogliano l’essere umano da tutto ciò che umano lo rendeva. Dove, come trovare il coraggio di ammettere d’aver paura con la propria madre, simbolo di amore anche per chi ha perduto la capacità di amare. Non un'accusa, perché il drogato, del quale si parla, siamo tutti noi (TUTTI morimmo a stento) e perché, comunque, Faber non ha mai accusato. Spesso è stato detto che De André fosse ateo, in realtà in Dio De André "voleva sperarci" in un Dio, un'entità superiore: “C’è chi è toccato dalla fede e chi si limita a coltivare la virtù della speranza [...]. Il Dio in cui, nonostante tutto, continuo a sperare è un’entità al di sopra delle parti, delle fazioni, delle ipocrite preci collettive, un Dio che dovrebbe sostituirsi alla così detta giustizia terrena in cui non nutro alcuna fiducia alla stessa maniera in cui non la nutriva Gesù, il più grande filosofo dell’amore” (cfr. Buscadero , n. 175, dicembre 1996). Ed i brani in cui parla di Dio sono circa un'ottantina. Ma cosa c'è dietro a quell'aver licenziato Dio e, consapevolmente, l'aver buttato via un amore? Per cosa, poi? Sempre nell'intervista a Cappelli De André dice: Scrivere il Cantico dei drogati, per me che avevo una tale dipendenza dall'alcol, ebbe un valore liberatorio, catartico. Però il testo non mi spaventava, anzi, ero compiaciuto. È una reazione frequente, tra i drogati, quella di compiacersi del fatto di drogarsi. Io mi compiacevo di bere, anche perché grazie all'alcol la fantasia viaggiava sbrigliatissima. … omissis … Con il Cantico mi rappresentavo e mi liberavo dell'imbarazzo di essere considerato un alcolizzato. "Tu che mi ascolti /insegnami / un alfabeto che sia / differente da quello / della mia vigliaccheria". Non è che io mi dia soltanto del vigliacco, non è una preghiera. È un modo di dire: "Tu che ti ritieni tanto furbo, insegnami un modo di comportarmi". Questo è un discorso delicato, perché c'è il rischio di fare l'apologia della droga, ma non c'è dubbio che le droghe potenzino la capacità creativa delle persone, perché disinibiscono, e la creatività, come qualsiasi attività umana, è fortemente ostacolata dalle inibizioni. Dopo le parole di Faber, che altro poter aggiungere? Tutti morimmo a stento ingoiando l'ultima voce tirando calci al vento vedendo sfumare la luce. Le invocazioni sono rivolte ai potenti, ai semidei, a coloro che vivono staccati dall’umana angoscia, ai ricchi ed opulenti; la richiesta, semplice, umana, che proviene dal popolo dei derelitti (drogati e traviate) è di aver pietà. C’è una domanda rivolta ai giudici (ma a tutti noi). Una domanda di un candore quasi infantile ma che in realtà sale da ogni cellula del nostro corpo, tanto è grande la ripulsa che ogni uomo prova già solo nel porla:” Quanto giusta credete che sia una condanna che decreta morte?” Alla fine il monito terribile, che non dà scampo e che dovrebbe accompagnarci in ogni istante della nostra esistenza: “Sappiate che la morte vi sorveglia”. Accusati e accusatori, vili ed eroi, colpevoli e innocenti, santi e malvagi, miserabili e potenti: alla fine la falce accomuna tutti. Uomini, poiché all'ultimo minuto non vi assalga il rimorso ormai tardivo per non aver pietà giammai avuto e non diventi rantolo il respiro: sappiate che la morte vi sorveglia, gioir nei prati o fra i muri di calce, come crescere il gran guarda il villano finché non sia maturo per la falce. Perché continuiamo a scordarcelo? Grazie Fabrizio. (N.d.r. Recitativo è accompagnato da " Leggenda del re infelice" ed è tratto dall'album "Cantico dei drogati") Author: Rosalba Crosilla
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