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Alcuni di noi proveranno sempre – con un grado esasperante di relativo successo – a migliorare se stessi in un modo o nell’altro, e nessuna quantità di auto-accettazione riuscirà a soddisfarli. Rinuncia di sé, accettazione di sé – sono tutti nomi per una stessa cosa: un ideale verso il quale non c’è strada, un’arte per la quale non esiste tecnica. Perché, dunque, questa idea indossa così comunemente l’abito del precetto, di un consiglio da seguire, di un metodo da applicare? Poiché ovviamente c’è una contraddizione fondamentale nella nozione stessa di rinuncia dell’io, così come in quella di accettazione dell’io. Le persone provano ad accettare se stesse al fine di essere diverse, e provano a rinunciare al proprio io per guadagnare un maggior rispetto ai propri occhi – o per attingere a una qualche forma di esperienza spirituale, a una qualche esaltazione della coscienza il cui desiderio rappresenta la forma stessa dell’interesse personale. Restiamo davvero bloccati in noi stessi, e i nostri tentativi di respingere o accettare sono ugualmente sterili, poiché non riescono a raggiungere l’inaccessibile centro della nostra individualità che sta tentando di respingere o di accettare. La parte del nostro io che vuole cambiare noi stessi è quella stessa parte che ha bisogno di essere cambiata; ma questa resta inaccessibile come lo è un ago alla puntura della sua stessa punta. Ma la ragione per cui l’idea della rinuncia di sé appare nella forma di un precetto impossibile, è che si tratta di una forma di ciò che i buddhisti chiamerebbero upaya – un termine sanscrito che significa “mezzi abili”, e più precisamente i mezzi abili impiegati da un insegnante per risvegliare il proprio studente a una qualche verità, che può essere raggiunta solo in modo indiretto. Poiché l’egoismo dell’io prospera sull’idea di comando, sull’idea di essere il signore e il padrone dei propri processi, delle proprie motivazioni e dei propri desideri. Così, l’unico risultato importante di qualsiasi serio tentativo verso la rinuncia o l’accettazione di sé, è l’umiliante scoperta che tutto ciò è impossibile. Ed è proprio in questo che consiste quella morte dell’io che è l’improbabile origine di un modo di vivere così nuovo e vitale da farci sentire come rinati. Become What You Are ©1993, 2003 Mark Watt
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